Abstract
Vari fattori, a volte concatenati tra loro, hanno determinato una contaminazione tra il lavoro nella vita e la vita nel lavoro potenzialmente pericolosa.
Tra i più rilevanti possono richiamarsi 1-La destrutturazione del vecchio stilema organizzativo dell’industria novecentesca e l’avvento di nuove tipologie di mercato nel quale svolgere un lavoro; 2-la polverizzazione dei processi produttivi e la discontinuità occupazionale che da questa deriva; 3-la dissoluzione delle intercapedini perimetranti il tempo del lavoro dal tempo riferito alle attività di vita proprie del prestatore; 4-l’incessante incremento dell’aspettativa di vita, in uno alle ineffabili esigenze di contenimento della quantità di spesa pubblica destinata alla previdenza sociale.
Sin dagli albori la dottrina giuslavoristica ha approcciato il tema della sicurezza sul lavoro con strumenti tipici del diritto dei contratti: a) identificazione della fattispecie, b) accertamento del danno, c) individuazione del nesso causale, d) determinazione del risarcimento.
Successivamente, la stessa, ha dovuto cominciare a dibattere di sicurezza nel lavoro.
Oggi, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti prima richiamati, il discorso involge latitudini più ampie. L’inferire di nuove patologie, spesso lungamente silenti, apparentemente recondite e di primo acchito difficilmente collegabili al tipo di lavoro svolto. Oppure assumono rilievo condizioni di salute sicuramente non tali da interrompere il rapporto, ma adeguate a richiedere un approccio personalizzato nella gestione del rapporto di lavoro.
Il risultato di tale processo va sicuramente oltre la conclamazione che la salute sia altro rispetto alla assenza di malattia, quanto, piuttosto, della sempre più stretta porosità tra salute occupazionale e salute pubblica.
Individuato tale trait d’union, muta anche il contesto degli attori impegnati nel fornire le garanzie necessarie per la tutela della salute latamente intesa, con una sempre più necessaria sinergia tra datori privati e decisore pubblico.
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