Abstract
Negli ultimi anni la destrutturazione della dimensione spazio-temporale del lavoro ha mostrato in modo evidente la sua natura di Giano bifronte: da un lato, opportunità di riorganizzazione delle modalità di svolgimento della prestazione in prospettiva di un miglior bilanciamento dei tempi di lavoro e di non-lavoro; dall’altro, rischio (in buona parte incontrollabile a latere datoris e inconsapevole a latere praestatoris) per la salute e la sicurezza del lavoratore. Dando per presupposta questa considerazione – ampiamente analizzata dalla dottrina post-pandemica – l’analisi condotta nel contributo opererà una comparazione con le altre forme di lavoro destrutturato (come il lavoro a domicilio, il “lavoro informatico” e il telelavoro) previste dall’ordinamento ben prima del “lavoro agile”, considerato che già negli Anni ’80 la dottrina si era interrogata sul futuro del lavoro dopo la “rivoluzione tecnologica”. L’obiettivo che si intende conseguire è quello di focalizzare i nuovi fattori di rischio del lavoro iperconnesso, anche alla luce delle risultanze degli accordi collettivi e dei protocolli condivisi dalle parti sociali. Funzionale a tale obiettivo è l’approfondimento del mutamento dei parametri di valutazione della prestazione – dallo svolgimento della mansione “in orario di lavoro” a lavorare “per fasi, cicli e obiettivi” – con emersione dell’iper-produttività (incentivata, del resto, anche dal proliferare nella contrattazione aziendale di premi e incentivi individuali).
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